Persi nelle nostre storie

Come spesso accade ci facciamo prendere dalle storie…in senso letterale, quasi fisico.
E non potrebbe essere altrimenti. Perché le storie che raccontiamo di rado iniziano con “C’era una volta…” e ancora più raramente terminano con “…e vissero felici e contenti”.
Nelle nostre storie finisce sempre che qualcuno ci lascia le penne e quel qualcuno è il protagonista. Come se non bastasse spesso quel poveraccio prima di lasciare questo mondo infame è sottoposto ad immani torture e indicibili sevizie. Come nella storia di Antonio Carini, che raccontiamo questa settimana. Vien da chiedersi se siamo dei sadici…
No, non è il gusto dello splatter quello che cerchiamo ma non riusciamo a toglierci dalla testa che lì, proprio lì, è morto un uomo o una donna per mano di un regime vigliacco come quello fascista che proprio dell’onore faceva il suo vanto e la sua gloria. Allora siamo dei rancorosi?
Ma neanche! E’ solo che non ce la facciamo proprio a passare oltre, con la coda dei nostri pensieri rimaniamo impigliati a quella storia là e non possiamo fare a meno di pensare a quell’uomo ed alla vita che ha vissuto. Ci piacerebbe essere capaci vedere coi suoi occhi e comprendere quali passioni lo hanno spinto a comportarsi in quel modo. Allora forse siamo dei nostalgici?
Ci misuriamo con storie vecchie di decenni perché ci affascina capire quanto hanno da insegnarci ancora oggi. Sì perché le storie non sono solo libri polverosi e copertine ingiallite. Hanno i colori (spesso a tinte forti) di chi ha deciso di dipingerle con la passione di quegli anni. Di sicuro non possono lasciare completamente indifferenti. “Ah, ma non sarete mica…. di quella parte là?” Qualcuno si chiederà.
Neanche qui ci siamo…Le storie che narriamo riempiono lo spazio in lungo ed in largo con le più svariate ideologie che animarono gli uomini e le donne del secolo scorso. E’ strano occuparsi di un anarchico furiosamente anticlericale in una puntata per poi ritrovarsi la volta dopo a parlare di un prete aggrappato alla sua fede fino alla fine dei suoi giorni.
Chi siamo, dunque? Ci piacerebbe poter dire di essere loro, riuscire a penetrare così tanto quelle storie da farle nostre ma non crediamo proprio di essere all’altezza.
Siamo degli antifascisti. A cui piace veramente tanto andare a cercare alcune storie. E ancora di più ci piace condividerle, con chi ha orecchie per ascoltare e voce per accompagnarci nel racconto.
Perché il motore di tutto alla fine è proprio lì. L’incontro che si crea attorno alle storie è come quel sasso lanciato nello stagno. Produce cerchi concentrici nell’acqua anche quando ormai ci siamo girati per guardare altrove.
Ecco, a volte ci rendiamo conto che il gioco ci prende la mano e non possiamo fare altro che perderci nelle nostre storie.
Questa settimana parliamo di Antonio Carini, militante delle Brigate Garibaldi che viaggiò tra i continenti per poi morire in quella Rocca delle Caminate che proprio qualche mese fa è tornata a far parlare di sé. Perché le nostre storie parlano di ieri ma rivolte doverosamente all’OGGI!

La prossima settimana invece vi aspettiamo per due live a cui stiamo lavorando da un po’. E che in maniera diversa ci hanno preso la mano. Non saremo soli, fortunatamente abbiamo trovato alcuni compagni di viaggio che ci aiuteranno a non perderci troppo.
Lunedì 8 alle 19 saremo al circolo anarchico Berneri per parlare degli attentatori al Duce e sabato 13 alle 16 ci si vede a Crespellano per parlare del maestro che disse no al Fascismo, Luigi Fabbri.

L’invito quindi è per la prossima settimana, restate connessi. Non perdetevi, almeno voi.

Per tutti sono Meso, all’anagrafe Manuel Mesoraca e se preferite anche solo Manuel. Faccio parte della redazione ma prima ancora sono tesserato ANPI, sezione di Marzabotto. Quindi mi occupo di Resistenza, più precisamente di luoghi e storie legati ad essa. Qualcuno diceva che la storia è maestra di vita ma purtroppo fatica ad avere scolari, noi nel nostro piccolo, speriamo di contribuire a mantenere viva la memoria. Non come sterile esercizio di date, nomi e morti ma come qualcosa che ci serva, anche per interpretare meglio questi anni difficili.

Commenta

Altri articoli