Febbre da Tortoise

Alle otto ero ancora febbricitante, stavo uscendo da un’influenza come quelle che ti becchi da bambino, noiose, smaniose. Non sapevo ancora se andare al Locomotiv a vedere i Tortoise. C’era il sold-out, avevo due biglietti, per me e per Ross, ma in quelle condizioni magari sarei stato peggio. No, il buon senso non ha retto. Alle otto e un quarto avevo deciso di andare. Solo un blitz, vedo com’è, una birra e torno a casa.

Arrivo imbottito di tachipirina, alla ricerca di qualche effetto collaterale che m’avrebbe forse fatto piacere ancor di più la strana musica del gruppo di Chicago. O forse fatto venire un attacco epilettico. Mah. Barcollando un po’ per via degli sbalzi di temperatura corporea, con una birra in mano che mi stemperava, come previsto, scorgevo la strana disposizione della batteria, anzi delle batterie, sul palco, davanti a tutto, con gli xilofoni ai lati e la console a sovrastare.

Far coincidere questi eventi mistici, mi riferisco a questo tipo di post-rock, misto a una sorta di elettro-jazz, dei Tortoise, con il frastornamento della febbre e dei vari pensieri di cui siamo sempre pieni, beh è stimolante e chissà a volte risolutivo.

Tant’è vero che i primi pezzi dell’album The Catastrophist, dell’anno scorso, mi rapiscono subito l’attenzione e mi proiettano nel labirinto sonoro di Dough McCombs e compagni.

L’omonima dell’album, e poi Ok Duke. Non mi è andata giù invece la rapida Yonder Blue, che nel disco è ben cantata da Georgia Hubley degli Yo La Tengo, e che solo strumentale perde un po’.

Il concerto scorre fluido, i componenti della band, cinque, si danno spesso il cambio sul palco, invertono strumenti e posizioni. Questo dimostra quanta cura mettano i Tortoise nelle loro sperimentazioni, rendendoli un’avanguardia influente, se non fondamentale, nel panorama musicale attuale. Lo sono sempre stati.

L’atmosfera si scalda sempre più con Shake Hands With Danger, fino a giungere alla vecchia Swung From The Gutters, apprezzatissima.

Il pubblico è composto da gente di tutte le età. Allucinazioni febbrili a parte, al mio fianco c’era un signore distinto, in cappotto cammello, che stava registrando i pezzi migliori. Dietro, una coppia di ragazzetti che ascoltavano attenti. La musica era infatti accurata, ricercata, elevata.

I Tortoise hanno suonato un’ora di fila. Sono stati generosi nei bis. Sono rientrati sul palco innumerevoli volte, non so addirittura quante, tant’è che stavo pensando di aver bisogno di un’altra tachipirina, ormai in trans.

Riversai su un’ultima birra, come a spegnere l’incendio che la febbre stava aizzando dentro la mia faccia. Subito via. Occhi lucidi. Dalla febbre, e dall’essere sopravvissuto, pur di vedere una band importante come i Tortoise.

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Autore
Leonardo

Trenta da poco.
Cresce nel verdissimo paesino marchigiano, poi il trapianto a Bologna, tra studi e lavoro. Diventa la città su misura, dove convivono arte e musica, sballo e balotta, e la possibilità di finire sulla strada di RFA.

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