Narratori dell’Appennino – la forza di Davide Celli

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Dopo la pausa estiva, eccomi di ritorno per il grande finale di Narratori dell’Appennino.

L’ultimo appuntamento di questa piccola ma sfiziosa rubrica letteraria, mirata anche a svelare la personalità di alcuni dei più promettenti autori del nostro territorio, non poteva che concludersi con una Guest Star, nel vero senso della parola. Conoscendolo bene, so che Davide Celli si sentirebbe molto lontano dal titolo che ho appena proposto, ma credo che nel suo caso, esso debba essere interpretato nella maniera più rispettosa e più umile che esista, dal momento che ci troviamo di fronte ad un gigante buono che ama l’arte in qualsiasi forma essa si presenti e non è solo questo a caratterizzare l’erede di Giorgio Celli: Davide possiede l’innata qualità di osservare ogni cosa con attenzione ed entusiasmo ed è proprio quest’ultimo a spingerlo alla ricerca ed alla conoscenza delle cose, svelando spesso aspetti di un mondo che ormai sfugge alla maggior parte delle persone, impegnate erroneamente a seguire il proprio piacere personale e gli aspetti più futili della società. Per Davide, la vita va vissuta appieno ed in tutti i sensi, senza timore di lottare contro i mulini a vento ma provando e riprovando a lasciare un segno, donando una parte della propria identità anche agli altri e lasciando che ognuno di noi sia fautore del proprio destino e plasmi la strada personale dell’esistenza, facendo tesoro di qualsiasi esperienza, grande o piccola che sia. Un orso di grande bontà, scrittore, attore e regista, che lascia spazio alla sperimentazione ed ai consigli e che ama allo stesso modo la natura, gli animali e l’uomo, credendo da sempre nella reciproca convivenza di tutte le specie, per costruire quel qualcosa che potrà alimentare il motore del mondo e spingerlo avanti senza difficoltà e pericoli.

Davide Celli: da attore per Pupi Avati, la tua carriera artistica, alternata al forte impegno sociale, non ha conosciuto freni. Tra le tante cose nelle quali ti sei cimentato, la scrittura non è stata esente. Quando hai capito che i tempi erano maturi per iniziare a vergare le prime righe e raccontare una storia?

Ho incominciato a scrivere quando ho intuito che a mio padre restava poco tempo da vivere. Forse un anno o forse meno.  Questo per due ragioni: la prima è che volevo dimostrargli a tutti i costi che anch’io sapevo scrivere. Mio padre è stato tante cose per me, un amico, ma anche un fratello più grande. Lui scriveva e io gli illustravo i libri o i testi delle sue conferenze. Tra noi c’è sempre stata una grande competizione. Mi faceva dei complimenti solo quando gli consegnavo una tavola illustrata, lui non sapeva disegnare per niente e considerava miracolosa la possibilità di far uscire delle figure dalla punta di un pennarello. Per questo non è mai stata una grande soddisfazione essere apprezzato da lui come disegnatore o artista visuale.  In altre circostanze, mi ha detto che ero stato bravo, si e no, un paio di volte in tutta la sua vita.

Hai iniziato a scrivere per sfida, quindi?

Si, è così, ho tentato di battere mio padre sapendo che non ci sarei mai riuscito. Del resto,  mi sono sempre piaciute le sfide impossibili e le cause perse.  Le sconfitte e le vittorie non maxresdefaultmisurano necessariamente la grandezza di un uomo. I libri che mi hanno cambiato profondamente la vita sono stati due. Il più importante è certamente “la nobiltà della sconfitta ” di Ivan Morris che rappresenta una delle risposte possibili alla questione posta da Sartre nel suo dramma “Le mani sporche”. E’ fuor di dubbio che la gestione del potere compromette inevitabilmente ogni nostro ideale, ancor di più quelli che ci hanno accompagnato nella prima giovinezza. La perdita di ciò in cui abbiamo creduto è inevitabile sulle lunghe e va di pari passo con il nostro invecchiamento interiore. In quanti, tra noi, sono nati idealisti e sono morti cinici, talvolta anche corrotti? Per questo, i principi giapponesi di Morris hanno vinto la loro sfida cambiando la storia, ma poi si sono cercati una sconfitta per non piegarsi alle regole della politica e del potere. Hanno avuto ragione loro, ciò che conta di più in assoluto è l’esempio che ognuno di noi concede agli altri. I principi giapponesi hanno condizionato il loro destino perché hanno voluto lasciare ai posteri una storia che funziona.

Quale libro hai scritto per dimostrare a tuo padre che avevi imparato a scrivere?

Confessione di un nemico del popolo. Mio padre a quel tempo aveva perso la vista e  non riusciva più a leggere da solo. Gli lessi due capitoli, il primo e l’ultimo, sono i più belli del resto, se gliel’avessi letto tutto il libro si sarebbe annoiato. Mi guardò con aria soddisfatta e mi disse: ‘Bravo, hai imparato a scrivere’. E quella fu la seconda volta che mi fece un complimento.

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Confessione di un nemico del popolo, è stata un’opera che hai deciso di diffondere gratuitamente e donare a chi te ne faceva richiesta. Come mai questa scelta così controversa?

E’ un libro maledetto, racconta storie dannate e svela la politica mostrandola dal suo interno. Distribuirlo in forma ufficiale avrebbe svilito i segreti in esso contenuti che dovevano continuare a restare invisibili ai più. A ciò si aggiunga che si tratta di un prodotto editoriale dove si è volutamente rifiutato l’editore, il codice isbn, la distribuzione. La vendita è stata sostituita dallo scambio tra adepti. E’ un libro “contro”, allora mi sentivo così: “contro tutti”. Ora vivo in pace. Sono un anacoreta.

Non va dimenticata la tua abilità di disegnatore, che ha trovato grande espressione nel libro satirico “Scherzi cinesi”, edito da Pendragon. In questo caso, la tua esperienza politica ha certamente avuto un ruolo di spessore per la creazione di quest’opera. Quali difficoltà hai trovato nel miscelare la satira, la scrittura e il disegno? E’ stato più impegnativo che scrivere un libro più “tradizionale”?

Più che un libro, si è trattato di un instant book. Il mio compagno di banco in Consiglio Comunale era Salvatore Caronna. Mi annoiavo da morire durante le sedute. In consiglio comunale c’era gente che ripeteva un concetto per ore. Altri rispondevano ripetendo un concetto contrario al primo per un numero di ore altrettanto esagerato. Così disegnavo le stupidaggini che sentivo dire, non tutte, solo quelle veramente surreali o paradossali. Caronna si divertiva come un matto, evidentemente si annoiava anche lui e i miei fumetti lo aiutavano ad ammazzare il tempo. Raccolse i miei disegni in un pacco che spedì ad un editore. Scherzi Cinesi  è nato così: dalla noia e da una situazione alquanto ridicola, quella di trovarsi nel bel mezzo di un Consiglio Comunale senza essere un politico. Purtroppo molti dei Consiglieri canzonati nel libro sono spariti dalla circolazione, così come gran parte dei temi dibattuti sono finiti nel dscherziimenticatoio. Il metrò-tram, dove chi saliva doveva fare due biglietti, uno per il metrò e l’altro per il tram, è uscito dai progetti futuri dell’Amministrazione Bolognese.

Ora invece si parla molto del passante di mezzo dove ci potranno circolare solo le auto guidate dagli elfi del Signore degli Anelli dato che il passante di mezzo taglia a metà la terra di mezzo, Bologningrad. Insomma,  se si legge oggi“scherzi cinesi” ci si rende subito conto che si tratta di un libro datato, anzi, meglio: è un libro morto … tutti gli ‘instant book’ non durano una stagione.

 

Sei anche un grande appassionato di cinema. Passione che condividiamo e sulla quale ci scambiamo spesse volte interessanti e stimolanti opinioni. Una classica domanda è questa: il confronto tra l’immagine e l’emozione dello schermo con il senso di libertà che dona la lettura. Un match eterno o c’è già un vincitore, a tuo parere?

Un film è un racconto visivo destinato a chi possiede poca immaginazione. Può sembrare che io voglia sminuire la Settima Arte, che amo più di ogni altra cosa, ma è la pura verità. Se leggi un libro devi immaginare ogni cosa, il viso del protagonista, l’ambiente, i colori di una città. Il film ti offre un pacchetto completo, tanto è vero che oggi in un film la storia è un dettaglio del tutto trascurabile. Un’opera filmica, chiamiamola così, come Transformers, è completamente priva di trama, lo stesso si può dire di Fury road. Se i libri stanno morendo mentre il cinema sopravvive, senza più storie da raccontare, è solo perché “guardare” costa meno fatica di leggere e immaginare. Insomma il cinema è diventato uno spettacolo pirotecnico dove la fanno da padrone: colori, esplosioni, effetti speciali e nient’altro. Prova a pensare a cosa succede se leggi un libro senza una trama: lo butti nel cestino dopo le prime tre pagine. Se succede la stessa cosa al cinema resti seduto a guardare le figure che si muovono a meno che non si tratti di Paranormal activity 2, in questo caso prendi per il colletto la cassiera e la costringi a restituirti i soldi, ma si tratta di casi isolati. Al cinema, come in politica, la gente ha imparato a subire.

Parlando di libertà di scrittura, credi che questa forma d’arte adesso sia libera o sia palesemente costretta a determinati e rigidi schemi?

Le regole sono fatte per essere infrante. Se le infrangi e hai successo diventano le “nuove regole”. Se le infrangi e il libro vende venti copie sei considerato un coglione e continuano a valere le vecchie regole. A questo punto però si apre un’altra possibilità e cioè che tu abbia infranto le regole prima che i tempi fossero maturi. Quindi muori di fame, affogato in un canale dove sei caduto perché eri ubriaco fradicio, ucciso da un creditore. Passano gli anni e qualcuno – che ne so: un critico? Un editore illuminato? – trova il tuo libro, lo legge e scopre che eri un genio e le tue regole infrante diventano – seppur con ritardo e a scapito della tua misera fine – le nuove regole. Il concetto di fallimento in arte non esiste perché l’artista stesso non potrà mai sapere se ha fallito o meno. Da ciò ne deriva che uno scrittore, come un pittore, deve credere in se stesso, quindi continuare a dipingere o a disegnare, indipendentemente dal risultato. Insomma, la ricompensa è il viaggio! Pensare di aver raggiunto una meta è da coglioni, pensare di avere la verità in tasca sul proprio lavoro, in un senso o in un altro, è da coglioni.

Ultimamente, ti sei dedicato anche alla stesura di una sceneggiatura, che presto vedrà la luce per un interessante progetto cinematografico. Vuoi darci qualche accenno?

S’intitolerà “L’ultimo Re degli orsi” ed è la storia di un ragazzo che vuole salvare suo padre dall’alcolismo convincendolo che solo lui può salvare gli orsi delle Alpi. La storia è solo un pretesto per lanciare l’allarme. Gli orsi sono in pericolo da quando sono stati assoggettati a leggi e regolamenti che oltre ad essere stupidi e antiscientifici mettono a grave rischio la loro sopravvivenza. Il film sarà prodotto da un’associazione culturale e verrà girato tra Vergato, Castiglione dei Pepoli, Monzuno e Porretta Terme. Chiunque volesse partecipare alla realizzazione (ci servono attori e comparse, ad esempio) può farsi rigirare da te il mio nominativo o contattarmi su Facebook.

Questa rubrica si chiama narratori dell’Appennino. Quanto è importante il territorio per uno scrittore e perché?

Non ho bisogno di scalare una montagna per sapere cosa si prova quando si arriva in cima. Per questo, a mio modesto parere, il luogo in cui si scrive non ha nessuna importanza per un artista. Carver scriveva nel garage di casa, la saga di Harry Potter è nata dentro ad un Pub, mentre Salgari non ha mai visitato i luoghi che ha raccontato nei suoi romanzi, ma li ha solo descritti dopo aver letto di loro in altri libri. I grandi artisti sono grandi per questo, perché – per dirla alla De Andrè – vedono “in un vortice di polvere, la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa.

Un’ultima domanda: ma perché a casa di tuo padre le lampadine si fulminavano una volta al mese?

Questa è una delle tante storie che devo ancora scrivere.

 

Una conclusione degna per questa rubrica, che spero potrà tornare la prossima estate, portando una ventata di piacevole freschezza culturale nelle torride giornate con il sole a picco e conoscendo altre affascinanti identità di un tesoro come l’Appennino, che ha ancora tantissime bellezze artistiche da svelare e narrare. Per il momento, grazie a tutti per averci letti e seguiti e rincorrete sempre qualunque cosa vi stimoli e vi faccia sentire…liberi.

Fabrizio Carollo.

Nato come scrittore, mi piace spaziare in tutte le arti, dilettandomi tra giornalismo, speakeraggio, fotografia e promotore culturale. Mi ritengo un goffo, folle, romanticone.
Mi hanno anche definito “Lo scrittore dei sogni” e penso che sia una definizione azzeccata: i sogni e gli incubi sono il mio pane.
Collaboro con diversi portali giornalistici dell’Appennino, con web tv e reti locali del bolognese ed ho all’attivo cinque pubblicazioni fra romanzi ed antologie di racconti.

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