Basket, Fortitudo-Matera dalla parte del “Lesto”.

“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, a maggior ragione in quella di chi quantomeno macchiaiolo della pallacanestro avrebbe potuto esserlo senza patemi e, invece, ha preferito posteggiarsi nel retrobottega.
Riflette così Federico Lestini, mentre guadagna mestamente, non potrebbe essere altrimenti, la via del tunnel: inopinabile il -44 (94-50) recitato dal tabellone luminoso del Madison d’Italia quando i seggiolini intorno a lui sono già svuotati da un po’.

Seconda volta in pochi mesi, si diceva, che l’ala pescarese, dopo il cambio-casacca portatolo da Ferrara alla Basilicata, fa visita ai meandri più celati del mai troppo amico Paladozza. Guarda te il caso.

Considerati i poco felici precedenti natalizi, la Federazione si era premurata di aprire anticipatamente un’indagine in suo onore. Per non arrivare impreparata all’appuntamento, invece, la Fossa dei Leoni aveva comprato tutti i biglietti del settore ospiti al fine di finanziare la sanzione disciplinare che i piani alti del Coni avrebbero sicuramente avuto modo di bissare anche a seguito di un anonimo e infrasettimanale Fortitudo-Matera. Mai ricevuta così tanta attenzione in tutta la carriera: l’emozione non manca, capirete.

Training autogeno prima di muovere il primo passo sul parquet, accolto da una tempesta di fischi ed improperi. Il Lesto prova a sbloccare la contrattissima ciurma lucana, ma gli irti canestri scagliano fuori di tutto e di più. La “Effe” scroscia via lontana e sul 27-8, per fortuna, è tempo di tornare a sedersi.

Coach Gresta non ha troppe dichiarazioni da rilasciare. Di nuovo in campo, con la testa ancora in panchina e, forse, già dirottata verso Sud.
Pensare che una volta di mercoledì giocava solo le Coppe e 8 punti li infilava lui da solo quando era in striscia. E mentre divaga, il Lesto regala due contropiedi, uno a Candi l’altro ad Italiano, che volano via fino a che toccare le 31 lunghezze di distanza: 55-24 all’intervallo.

Pausa di riflessione. L’occhio del Lesto, insensibile alla ramanzina di metà gara, cade prima su quel crociato ballerino che tante volte lo tradì, poi su quella mano destra che “non è più quella di una volta”, vira sul dito medio causa dei fattacci forlivesi e, infine, si posa sul ricordo di quei due anni passati in esilio dietro la lavagna, salvo poi riciclarsi dilettante in terra natia, Pescara.
Fuori, intanto, piove. Odi Lesto? Piove Montano da tutte le parti, piove Carraretto coi piedi oltre l’arco, piove, per la prima volta, Campogrande in versione “Shuttleworth”. In un attimo, è 79-31.

Ascolta. Festante, la bolgia si scaglia a cappella contro di te, creatura terreste che hai nome Lestini. La mano trema, si spegne. Boniciolli concede qualche scampolo anche a Rovatti. Tu dovresti marcarlo, ma lo lasci passare: andrà anche lui a referto. Torni in difesa, lo guardi e, con tutta la rabbia e la frustrazione accumulate in serata, quasi gli chiedi, lui che può, di non imitare gli errori puerili che tu commisi. Cala il sipario col parziale in sovraimpressione.

Poi te ne vai, capo chino, salutando con sorriso ironico chi per quaranta minuti ha martellato la tua dignità. Chi, canzonandoti, ti chiedeva di segnare un gol, dato che di canestri non se ne parla. Chi, malignamente, ti ricordava che, magari, un giorno in Nazionale ci saresti potuto arrivare davvero e un campione, perché no, avresti potuto esserlo.
Ringrazi e scendi le scale. Questa volta con la netta sensazione di aver toccato il fondo. Tutta colpa di quel talento che ieri t’illuse, oggi ti sfugge, domani chissà.

Nato a Bologna il 19 agosto 1997. Frequento il Liceo linguistico presso l’istituto “Leonardo Da Vinci” di Casalecchio di Reno. Qui, grazie a Sara Carboni e al prof. Andrea Marchi, mi sono avvicinato all’ambiente radiofonico, realizzando esperienze anche per il Centro Giovanile “Blogos” di Casalecchio. Nel 2014, ho collaborato con Radio Città Fujiko. Nel 2015, oltre ad aver partecipato alla rassegna “Politicamente Scorretto”, ho svolto un apprendistato presso Radio Città del Capo. Da piccolo volevo fare l’astronauta o, in alternativa, il pilota di Moto GP. E ora eccomi qua.

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