L’importanza della montagna conquista università e studenti

Tantissime, innumerevoli volte mi è capitato di ripetere quanto sia importante il territorio in cui viviamo e come esso debba essere coccolato e compreso, alfine di entrare in perfetta sintonia con esso, esplorando ogni segreto che custodisce ed arrivando all’invidiato traguardo di conoscerlo alla perfezione, rispettarlo pienamente e nutrirsi delle emozioni che esso è in grado di donare, coltivando la passione che potrà essere tramandata alle future generazioni, insieme al valore della tutela ed alla volontà di mantenere intatto un patrimonio unico, come quello dell’Appennino, pur guardandolo sempre con buona dose di reverenza, consci della certezza che Madre Natura non ama le prese in giro ed è sempre la protagonista di tutto quello che ci circonda e ci ospita, nonostante la nostra sconsideratezza che, spesse volte, conduce purtroppo a risultati devastanti per la natura ed il pianeta stesso. Ma conoscere il territorio ed apprezzarlo come merita, in ogni suo dettaglio, non è affatto impresa semplice e, quando ho saputo della nascita del nuovo corso di laurea di Scienze della Montagna, fondato lo scorso settembre a Rieti dall’Unitus (in collaborazione con Sabina Universitas), non ho potuto nascondere l’interesse per questo interessante progetto che ha già ottenuto numerosi consensi e sta facendosi strada tra tanti studenti. Ho così deciso di incontrare Tatiana Marras, dottoranda in scienze forestali e responsabile della pagina Facebook del corso di studi, affinché approfondisse alcuni aspetti di questo ciclo di studi e spieghi a tutti coloro che vorrebbero avvicinarsi ad esso, quali siano le materie e gli obiettivi prefissi.

Marras

Ciao Tatiana. Un progetto molto interessante e sfaccettato, quello che avete creato. La formazione di persone che possa conoscere e gestire i territori dell’Appennino è davvero qualcosa di entusiasmante e, proprio per questo, la prima domanda che ti faccio è quanto entusiasmo ed amore per la natura siano necessari per essere idonei a ricoprire questo ruolo e quanto invece sia importante un’accurata preparazione ed uno studio costante, che presumo debba essere in continua evoluzione, così come il territorio stesso.

 Grazie mille. In primo luogo vorrei aggiungere un particolare relativo al campo di interesse di questo Corso di Laurea, che essendo istituito sul territorio italiano non appare immediato. Ovvero che, oltre agli Appennini, il nostro obiettivo è formare laureati che possano “prendersi cura” delle montagne del Mediterraneo, in senso dunque internazionale. Considera che, a tale scopo, stiamo costituendo una rete assieme alle altre Università di Scienze Forestali di quei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Per secoli è risultato più facile e remunerativo investire nelle aree di pianura e abbandonare dunque le aree montane. Oggi assistiamo ad un fenomeno opposto, alla voglia di recuperare le nostre radici, in termini di ambiente e di tradizioni. Chi vive in città preferisce trascorrere periodi di vacanza all’aria aperta, anzi all’Aria aperta, con la A maiuscola, tra laghi e boschi. Per non parlare, a livello culinario, della riscoperta degli antichi sapori, del recupero di varietà antiche di ortaggi. Tutto è riassumibile in un concetto: la necessità di purezza. Gli Appennini, e così le montagne del Mediterraneo, diventano un luogo da riscoprire e valorizzare, ed anche in fretta, sull’onda di queste “mode”. C’è tanto da fare, dal migliorare la viabilità, al favorire le attività commerciali, creare percorsi naturalistici, recuperare aree degradate dal pascolo con opere di rimboschimento oculate (nel secolo scorso, per rimboschire aree scoperte in maniera rapida si utilizzava il pino nero, pino nero ovunque. Ma i boschi mediterranei sono ricchi di molteplici specie, molte di esse latifoglie! Bisogna dunque rimboschire con le GIUSTE specie, quelle originali delle singole aree) e tanto altro. Tutte queste attività necessitano di esperti, di economia, di turismo, di scienze forestali nonché di geografia e storia. Noi cerchiamo di formare questi esperti. A Scienze della Montagna gli studenti ricevono una formazione ad ampio spettro, dalle discipline base quali chimica e biologia, all’economia e legislazione forestale, ingegneria agro-forestale, geografia dell’ambiente montano, agricoltura di montagna, marketing del turismo e tante altre.

Attualmente, quanti studenti hanno deciso di intraprendere questo percorso e quali sono state le prime risposte da parte loro? Ci sono stati anche validi suggerimenti ed idee su come procedere e magari ampliare qualche tema non completamente affrontato?

Nonostante il Corso sia stato attivato lo scorso settembre, le iscrizioni sono state ben 50. Dico ben 50 perché, essendo un Corso di Laurea totalmente nuovo e ubicato “fuori mano” rispetto ad altre grandi città universitarie italiane (Rieti), ci aspettavamo una risposta iniziale minore. Invece i nostri studenti ci hanno stupito, non solo come numerosità, ma anche in quanto a passione. Abbiamo studenti la cui età varia dai 19 ai 50 anni, alcuni dunque sono già alla seconda laurea e han deciso di acquisirla per pura passione. L’amIMG-20160610-WA0017ore per la montagna è il loro comune denominatore.

Oltre alla teoria, il percorso di studi prevede anche delle uscite? In esse quali sono i temi portanti?

Assolutamente, le riteniamo essenziali. Io sono una biologa e senza attività di laboratorio non avrei potuto acquisire l’esperienza che ho oggi semplicemente studiando sui libri. Lo stesso vale per loro. La montagna va studiata sui libri e sul posto. Le tematiche principali delle uscite didattiche sono di stampo agro-forestale, dunque si spazia dalle sistemazioni idrauliche alla selvicoltura, dalla geologia alla botanica, dalla zoologia alle attività agro-pastorali.

Quali sono le materie d’esame a tuo parere più difficili di questo corso?

Al momento i ragazzi hanno sostenuto solo gli esami del primo anno e, sulla base delle loro “confidenze”, i maggiori scogli sono stati rappresentati dall’esame di botanica e di genetica. La difficoltà è rappresentata dalla mole di studio richiesta per sostenere tali esami, concentrata in un singolo trimestre. Per gli anni futuri, sulla base dell’esperienza degli studenti del tradizionale corso di Scienze forestali, ipotizzo che avranno qualche difficoltà con l’ingegneria delle acque, troppe formule matematiche, e chi si iscrive a simili Corsi di laurea in genere non le ama.

Passiamo ad una domanda più emotiva, se vogliamo: com’è nata la tua personale passione per l’Appennino?

Io sono nata in Molise. Serve dire altro? Si, serve dire altro. Sono nata in Molise ma cresciuta a Torino a partire da quando avevo 6 anni. Sono stata la tipica bambina di città che non vedeva l’ora che arrivasse l’estate per tornare dai nonni, tra boschi, cascate, cibo buono e genuino. Ricordo di quando andavo a raccoglier le uova nel pollaio con mia nonna o quando andavamo a posizionare gli specchi nel campo delle patate per tenere lontani i cinghiali. Ricordo i piedi gelati nei fiumi di montagna a ferragosto e la polenta in pieno inverno. Vorrei che anche le generazioni future potessero vivere le mie stesse esperienze e per fare ciò bisogna salvaguardare le nostre regioni “più povere” rispetto a quelle alpine. Bisogna impegnarsi, agire, ingegnarsi..al massimo un giorno potremo dire di averci provato.

 

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– Sempre secondo te, com’è cambiato il territorio negli ultimi decenni? Quali sono gli aspetti che vanno maggiormente curati e cosa l’Appenino può offrire ancora?

A causa di una progressiva crisi economica, si è assistito a uno spopolamento dei borghi appenninici, con contemporaneo abbandono delle attività base di quelle regioni, dalla pastorizia alle coltivazioni montane. Soprattutto i giovani, per trovare lavoro, si sono spinti prima a valle e poi nel Nord Italia, senza fare ritorno alle terre di origine, fatta eccezione per pochi che hanno voluto osare (amo utilizzare questo verbo perché investire nei territori appenninici davvero è sintomo di coraggio) e hanno avviato attività di stampo turistico o agrituristico. La voglia di recuperare gli ambienti e le tradizioni di un tempo, di far rivivere aree che sembrano presepi abbandonati, è un ottimo punto di partenza per andare incontro a una “rivoluzione appenninica”. La volontà prima di tutto. Ho avuto modo di conoscere sindaci che definisco sempre “illuminati”, che han deciso ad esempio di convertire i loro piccoli borghi quasi spopolati in alberghi diffusi. Ho conosciuto miei coetanei, dunque ragazzi attorno ai 30 anni, che hanno sfruttato i bandi per la costituzione di start up e si sono reinventati, nonostante lauree in economia o biologia o quant’altro, pastori, apicoltori, coltivatori di piante tintorie e tanto altro. E nei nostri studenti  vedo questa volontà e la ammiro. I campi su cui investire sono tanti, soprattutto bisogna investire sul turismo, non solo nazionale ma internazionale e sulle attività imprenditoriali, recuperando tradizioni antiche e convertendole dunque in risorsa economica. Per fare tutto ciò ritengo che il primo intervento da effettuarsi sia quello di un miglioramento e potenziamento della rete stradale, che in molte aree appenniniche è decisamente disastrosa.

 

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Nato come scrittore, mi piace spaziare in tutte le arti, dilettandomi tra giornalismo, speakeraggio, fotografia e promotore culturale. Mi ritengo un goffo, folle, romanticone.
Mi hanno anche definito “Lo scrittore dei sogni” e penso che sia una definizione azzeccata: i sogni e gli incubi sono il mio pane.
Collaboro con diversi portali giornalistici dell’Appennino, con web tv e reti locali del bolognese ed ho all’attivo cinque pubblicazioni fra romanzi ed antologie di racconti.

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