A QUELLI CHE NON CI VOLEVANO

Io che vivo di bile e brucio rabbia al posto che zuccheri.

A quelli che non ci volevano su un duemila turbodiesel che ingurgita l’autostrada come una caramella da scartare e viaggia un filo sottocoppia proprio come me oggi.
A quelli che non ci volevano proprio, no dai, non proprio adesso ma che male ho fatto io.
Che non è mai troppo presto e tu non sei mai abbastanza e ci saranno per sempre ma scadono a 30 giorni dffm come le fatture.
A quelli lì io vorrei notificare con cortese premura che neanche io mi ci volevo qua sopra. Neanche io volevo spingermi a tremila giri. Essere quella che resta, che decide, che rimane.
Essere quella inseguita per i corridoi come un coniglio meccanico alle corse dei cavalli, ingegnere lo togliamo sto tramezzo che la signora vuole l’openspace? e tu lo acchiappi al volo per la collottola come un gatto che ti sta per fischiare dal terzo piano “fermo lì che mi tiri giù il solaio”.
Mentre nella tua testa è rimasto un solo pilastro che omaggi come un totem pagano perché non ceda sennò grazie a tutti per aver scelto di volare con me e benvenuti a bordo dell’aircraft 2012 della columbia pictures. Prepararsi al cataclisma prego.
È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Mentre tua madre in una stanza di novembre indossa un monouso color Tiffany o crema di menta o Grasshopper se ti piace bere, insomma il pantone è tanto chiaro quanto irrilevante, si gira di schiena per chiederti annodami i nastri sul collo che per la prima volta ha bisogno di te e venticinque anni di diapositive scattano col loro click oldfashioned nella tua testa fino a quando era lei ad allacciarti le scarpe e non inciampava mai.
È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Quando sei un cantiere a cielo aperto ma mi scusi signora posso entrare che fuori fa freddo, sono in anticipo.
Ma ci mancherebbe. Gradisce un caffè? Lasci che mi tappi tutte le buffe cosi non passa l’aria.
Tanto che mi ci vuole a me a tirar su i muri perimetrali nel tempo che macino i grani e staremo come nella casetta in canadá, caffè bollente bolle fatture ma stiamo senza tetto, signo’, stringiamoci che fa meno freddo. Guardi che qui differisce di dodici euro.
È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Venga nel mio ufficio e chiuda la porta. Questo totale non torna. mi ha chiamato il cliente.
Certo che torna. Non ha considerato inarcassa e iva.
Ah scusi.
Ci mancherebbe. Posso uscire?
Vada pure.
È difficile mantenere del rigore nel dolore.
Quando lei si sveglia quattro volte a notte per andare a fumare in bagno ed è sempre online, chissà con chi poi, e tu cogli occhi sbarrati nel letto che poi domani sveglia all’alba che le bollette non si pagano da sole. Anzi si, perché sei poi sempre da sola a pagare.
È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Pettinarmi composta e fare un parcheggio a esse abbassando la musica che non ci vedo bene però meglio rialzarla che mi sento polverizzarmi i polmoni sennò.
*Questa vita è troppo corta e io l’ho dedicata a me, questa vita è troppo corta e io l’ho dedicata al rap* .
Che poi il rap è puntuale alla porta quando va tutto a rotoli, è permesso ho portato qualche birra e due canne, *anche da pesca vanno bene basta stare insieme prendere la vita come viene come fede* tu metti su queste cuffie che registriamo un pezzo come due anni fa quando non c’era luce ma solo quattro quarti intanto metto su il caffè.
È difficile mantenere del rigore nel dolore.
Stare da soli sotto la doccia mentre l’acqua sul piatto scandisce le promesse disattese e le dichiarazioni in pura carta velina e nessuno irrompe nella tua bara di plastica e badedas “oh me lo potevi anche dire che il capannone non tornava eh”.
In una profusione di bolle e schiuma rattoppi le scapole di nascosto perché *le ali si spezzano e tu le rincolli* e nessuno se ne è accorto e anche oggi resti in piedi.
È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Quando sei tu a a fare le regole del bancone, a scegliere se stasera il Boulevardier verrà servito o meno, barbari che non siete altro a mescolare il whiskey con quella roba.
Quando ancora e ancora sei tu ad alzarti in piedi e a forzarti a dire, raga, qui decido io non so se è chiaro,
Mentre vorrei stringermi all’angolo e farmi assicurare le fasce sulle nocche e lasciare le redini a un altro cocchiere.
È che qua non c’è nessuno che voglia guidare e tu non mi hai neanche chiesto come stai ale eh come stai oggi.
È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Ma certe mattine qualcuno si affaccia alla mia scrivania che è un maremoto di carte e mi rassicura che ehi. Ho verificato io le pareti al posto tuo.

È difficile mantenere il rigore nel dolore.
Ma certi giorni mi puntellano come un torrione che non deve morire, con contrafforti grandi come caselli autostradali.
È difficile mantenere il rigore nel dolore, ma certi giorni certi vincoli non ti firmano le carte per cadere e restare in piedi è l’unica procedura autorizzata.

sider.ale, all'anagrafe Tormento Siderale, scappa dall'insicurezza terminologica di una formazione universitaria legittimamente conseguita come interprete per rifugiarsi tra le salde braccia calde in calcestruzzo dell'ingegneria civile e delle sue fatture.

Una vita fatta di poco, guardia bassa e pugni in faccia, con tre luminosissimi fari nella notte: la boxe thailandese, il rap e le parole sbavate di una bic blu su un foglio di carta stropicciato.

Accompagnano le notti di tormenta fuori dal porto le melodie lontane dell'ex Germania dell'Est che, ancora dopo decenni e tanta pioggia di traverso, non le si smacchia di dosso.

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4 commenti
  • Cosa dire di questo testo..
    Stupendo!!!
    L’autrice in una frase “È difficile mantenere il rigore nel dolore.”
    imprigiona la forza che si deve avere per andare avanti e imporsi il rigore che la società chiede.
    Complimenti continua cosi

  • nelle tue parole intravedo sempre sofferenza mista a forza . è poi il senso della vita : imparare a rialzarsi da soli dopo ogni caduta . credo tu lo sappia fare bene e per questo quando scrivi riesci a mettere il cuore dentro ogni parola .

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